23 Apr Cosa succede nel cervello del bambino quando viene “etichettato”
Articolo a cura di Sara Achilli.
Mio figlio alle feste non gioca con gli altri bambini: è “poco socievole”…
Quando incontriamo una persona nuova mio figlio si nasconde dietro di me: sarà perché è “timido”…
Mio figlio ama giocare da solo invece che gli altri bambini: è “diverso”…
Etichettare un bambino con un aggettivo, una caratteristica o il nome di una patologia è molto più semplice che capire cosa avviene davvero nel suo cervello in evoluzione. Anche nel caso limite in cui si fosse veramente capito che cosa c’è dietro quell’etichetta, il solo fatto di attribuirla genera una serie di reazioni che spesso sono ben peggio del reale o presunto problema.
La natura è dalla parte dei timidi, dei diversi, ecc.
Vi è mai capitato di incontrare per strada un cane che non conoscete? Il cane cosa fa? Prima vi osserva a debita distanza, poi
annusa, sempre mantenendo una certa distanza da voi, poi se non percepisce pericolo si avvicina e vi annusa di nuovo e solo alla fine vi permette di accarezzarlo.
Dal punto di vista etologico, i bambini si comportano esattamente allo stesso modo. Osservano a debita distanza protetti dalla mamma o dal papà, “annusano” l’aria, si avvicinano con cautela e alla fine permettono allo sconosciuto di interagire con loro.
C’è poi un interessante paradosso da considerare. Se siamo onesti per un attimo, tutti noi, ancora da adulti, desideriamo essere speciali e unici, almeno in qualcosa. Di contro, quando ci accomunano alla massa, alla “persona media” ci sentiamo indignati e indispettiti perché non hanno saputo cogliere quanto siamo speciali.
Eppure, nonostante questo, quando vediamo un bambino diverso dalla maggior parte tendiamo subito a fare confronti e a cercare spiegazioni in caratteristiche che appaiono come verdetti definitivi: “è goffo”, “è distratto”, “è superficiale”, ecc. Eppure basta fare un piccolo passaggio in più per avere un approccio costruttivo anziché limitante. Basta infatti trasformare un’etichetta come “è goffo” in “non ha ancora sviluppato una buona coordinazione” e subito dopo domandarsi “come mai? C’è qualcosa che ostacola questo processo? Posso fare qualcosa per favorire il naturale sviluppo di questa competenza?”.
Etichettare un comportamento, senza analizzarne prima le dinamiche, può essere molto pericoloso.
Di contro per aiutarlo è fondamentale: capire che cosa succede realmente al bambino, sapere che esistono diverse aree cerebrali in interazione, tenere conto degli aspetti etologici che governano il suo comportamento, considerare i fattori ambientali, i collegamenti tra schemi mentali, reazioni emotive e modalità comportamentali.Vediamo ora di approfondire cinque dinamiche che possono mettersi in moto quando etichettiamo un bambino invece di capire e supportarlo.
5 buoni motivi per non etichettarlo
1. Etichettare un bambino è, sempre e comunque, riduttivo: in questo modo avremo e rinforzeremo una visione parziale della personalità del bambino. L’immagine che i genitori hanno dei loro figli deve essere ben chiara nei suoi confini e nei fattori che la sostengono, come quelli che la possono influenzare. Lavorare sulle abilità di parenting vuol dire anche questo.
2. Dire continuamente a un bambino che è timido o imbranato può metterlo in imbarazzo o suscitare dei dubbi, arrivando paradossalmente a creare un problema che non c’era. Le formule comunicative delle figure educative e di cura devono sempre avere una prospettiva di modulazione e sviluppo rispetto agli stati emotivi del bambino che ascolta.
3. Chiamarlo “introverso” significa banalizzare una serie di importanti diverse dinamiche: l’inclusione in un gruppo è diversa dall’accettazione, la fiducia non coincide con l’apertura, il senso di sicurezza può essere causa come effetto della relazione sociale. Il suo comportamento può essere usato per capire e supportarlo in modo mirato.
4. Un bambino cosiddetto timido potrebbe essere solo un bambino “cauto” ovvero un “cagnolino” che sta cercando di gestire una situazione nuova per la prima volta e sa regolarsi meglio di quelli che si buttano nella relazione e poi la vivono in modo stressante o pericoloso.
5. L’etichetta “diverso” rinforza un comportamento di evitamento ed inibizione. Al contrario è solo l’esperienza diretta che permette lo sviluppo delle capacità di auto-regolazione. Inoltre l’inibizione altera anche i processi di sviluppo neurobiologici, che sono sostenuti da specifici atti integrativi tra azione, movimento, auto-percezione ed emozioni.
I genitori, le figure di accudimento o gli insegnanti hanno un ruolo fondamentale nello sviluppo cerebrale ed emotivo del bambino. Dalla nascita fino all’età adulta sono loro che creano nel cervello del bambino le connessioni cerebrali (le così dette “top-down e bottom-up brain connections”) fornendo i giusti stimoli.
Stimoli corretti e vari renderanno il cervello del bambino plastico e in grado di controllare in autonomia impulsi ed emozioni. Di contro etichettare un bambino (che sia dicendogli che è timido, stupido o che è un’incapace) significa creare connessioni sbagliate, alternarne la neurobiologia (vedi l’articolo su traumi ed esperienze avverse infantili) e gli schemi mentali, emotivi e comportamentali.
Esistono tecniche educative, di cura e di parenting mirate per aiutare i bambini e i relativi genitori in queste situazioni. Diamo ai bambini gli stimoli giusti e poi lasciamoli liberi di sperimentare, di valutare, di scegliere. Non è sempre detto che una persona giusta per noi sia giusta anche per loro. Anzi di solito, come i cani, hanno un fiuto migliore del nostro nel capire quando si tratta di una bella persona o di qualcuno che forse, in effetti, è meglio evitare. Ognuno nasce in una famiglia diversa, con un “parenting” differente, frequenta asilo e scuola con impostazioni diverse. Lasciamo il tempo al bambino di adattarsi all’ambiente dove cresce.
C’è chi ama giocare all’aria aperta con la terra e l’acqua e chi, invece, ama maggiormente muoversi in spazi piccoli e protetti. Anche fratelli cresciuti nella stessa famiglia, con la stessa educazione e gli stessi stimoli possono avere esigenze e comportamenti diversi, gli studi sull’epigenetica hanno spiegato bene questi fenomeni e ci hanno permesso di capire come agire in modo mirato e specifico sui fattori più rilevanti a livello ambientale, relazione e di carico emotivo.