21 Set Stress, traumi e deprivazioni affettive lasciano il segno. Che cosa succede a cervello, epigenetica, emozioni, pensiero e cosa si può fare
articolo di Fabio Sinibaldi e Sara Achilli
PREMESSA
Eventi traumatici, ma anche stress prolungati o la deprivazione affettiva lasciano il segno. Non si tratta di un modo di dire, ma di una ben chiara realtà. Di solito ci si riferisce alle “cicatrici” emotive, in grado di cambiare il modo in cui una persona reagisce e si comporta, alterando anche il modo di pensare, di relazionarsi con gli altri e di agire in tutti gli ambiti della vita, non solo quello traumatizzato. Per fare chiarezza abbiamo definito questi cambiamenti modificazioni funzionali perché indicano proprio il modo in cui noi funzioniamo.
D’altra parte esistono importanti modificazioni strutturali. Infatti possono modificarsi – e anche significativamente – il numero di connessioni nervose, lo sviluppo di una determinata aree cerebrale, i collegamenti tra diverse strutture del sistema nervoso e i neurotrasmettitori che li fanno comunicare. Le modificazioni possono avvenire anche a livello non direttamente cerebrale, ad esempio con una riduzione del microbiota intestinale, con l’invecchiamento precoce di cellule che possono essere in ogni parte del corpo, modificando la creazione di proteine coinvolte nell’espressione genica del DNA.
Le modificazioni strutturali, com’è intuibile, porteranno delle modificazioni funzionali. Ad esempio se l’area del cervello preposta alla presa di decisione si riduce in dimensione e in capacità di trasmettere i segnali correttamente, sarà più difficile fare valutazioni e decisioni accurate. Ma è vero anche il contrario: una modalità disfunzionale, alla lunga, altera anche la struttura. Per fare un’analogia, se usate una forchetta in modo improprio, ad esempio spingendola con più forza del necessario contro il piatto, dopo qualche mese le punte si deformeranno e, come ulteriore conseguenza di ritorno sul piano funzionale, sarà più difficile usarla. Grazie alle moderne tecniche di indagine è oggi possibile studiare sia le alterazioni funzionali che quelle strutturali, individuando anche i meccanismi che legano reciprocamente i due livelli.
In questo articolo cominceremo ad analizzare alcune delle più significative alterazioni che avvengono a seguito di forti stress, emozioni cronicamente disfunzionali, deprivazioni affettive o relazioni distruttive. Individueremo alcune importanti connessioni tra sistemi e funzioni, per arrivare a capire come e in che modo possiamo aiutare in modo completo ed efficace chi si trova in queste condizioni. Seguiranno altri articoli di approfondimento. Se non li vuoi perdere iscriviti alla newletter
CHE COSA CAMBIA
NETWORK CEREBRALI E SISTEMA DI SICUREZZA
Con il termine Default Network si indica l’insieme di circuiti cerebrali che collega diverse aree laterali e mediali connesse, tra l’altro, con il pensiero e la memoria. Possiamo immaginarlo come un elettrodomestico in stand-by o, più modernamente, come un’applicazione sul computer o sul telefono che è sempre attiva ma in background, pronta ad aiutarci a capire come dobbiamo muoverci. Queste connessioni ci permetto di distinguere che cosa è rilevante e che cosa non lo è, in modo da poter rispondere prontamente alle richieste dell’ambiente”.
Quando si rimane in stato di allerta o stress prolungato il Default Network va offline, non supporta più le persone a distinguere correttamente e a capire che cosa fare. Chi ha affrontato gravi stress durante la prima infanzia, non solo fatica ad accedere a questo network (essendo sempre in stato di iper-attivazione di allerta) ma ne presenta proprio un minore sviluppo in termini di numero di connessioni. Diventa pertanto fondamentale riportare il Default Network in fisiologia, in modo che riprenda la sua attività di base durante la vita quotidiana.
Fortunatamente per farlo ci sono tanti modi: dalle tecniche meditative, all’attività fisica aerobica, allo stare più tempo nella natura, fino a tecniche più specifiche di integrazione attraverso il movimento fisico, appositi esercizi di equilibrio fisico in concomitanza con stimolazioni emotive, esercizi di coordinazione neuromotoria con attività mirata sulle aree del network.
Ad esempio nel nostro approccio per l’Integrazione dei Sistemi Interconnessi abbiamo sviluppato tecniche di contrazioni isometriche unite a un lavoro specifico sulle emozioni e tecniche mirate a rendere veloce e fluida l’attivazione e disattivazione del Default Network tramite l’alternanza di attività con diversi gradi di coinvolgimento psico-fisico.
In situazioni di potenziale pericolo entra in gioco un altro network, noto come Salience Network. Il suo compito è di valutare gli stimoli esterni (provenienti dagli organi sensoriali) e interni (provenienti dall’amigdala) e decidere se attivare il Default Network o il Central Executive Network, deputato all’attivazione esecutiva. Questo rende evidente come, oltre a riportare in fisiologia il Default Network, sarà importante intervenire anche sugli aspetti percettivo-sensoriali e sulla buona risposta dell’amigdala.
Anche in questo caso è possibile usare degli accorgimenti quotidiani, come valutare gli stimoli nella periferia del campo visivo a cui si è più spesso esposti, variare la distanza di messa a fuoco più spesso di quanto si faccia stando per ore davanti a un monitor o televisore, ma anche agire con esercizi mirati di movimenti oculari e stimolazioni sensoriali dirette e indirette anche su tutti gli altri sensi.
DIMENSIONI E CONNESSIONI CEREBRALI
Forti stress prolungati hanno effetti anche diretti sulle strutture cerebrali e di tutto il sistema nervoso. Ad esempio l’ippocampo tende a ridurre le sue dimensioni e le sue funzionalità. Dato che si tratta di un’area del cervello coinvolta nell’elaborazione delle risposte emotive, della memoria e delle risposte di stress diventa evidente come una sua modificazione possa interferire in negativo con le future abilità di auto-regolazione.
Allo stesso modo ci sono numerose ricerche che dimostrano che persone esposte a più ACEs (Adverse Childhood Experiences) possono avere anche uno sviluppo ridotto della corteccia prefrontale (fondamentale nelle operazioni di problem solving) e dell’amigdala (altro organo fondamentale per le risposte emotive e interpersonali di base). Si tratta anche di una riduzione dei collegamenti tra diverse aree cerebrali. Persone che hanno vissuto più di due esperienze avverse significative durante l’infanzia presentano minori connessioni della norma, ad esempio tra corteccia prefrontale e amigdala, collegamento fondamentale per adeguare le risposte emotive a quello che ci succede.
Per favorire lo sviluppo delle aree cerebrali e dei relativi collegamenti sono fondamentali sia una corretta nutrizione, che permetta di avere il materiale a disposizione per “costruire e collegare” a livello cerebrale, sia l’attivazione fisica. Potranno essere usati alcuni degli esercizi descritti nel punto precedente, più altri mirati a questo scopo. Ad esempio l’introduzione di quelli che abbiamo chiamato Esercizi di Padronanza Interna ed Esterna, che seguono determinati schemi ripetitivi o con variazioni, la presenza di un ritmo costante o di cui si controlla la variazione permette di sviluppare la struttura e, al contempo, le funzioni collegate (in questo specifico esempio la concentrazione, il controllo sia mentale che emotivo, e il saper trasformare in qualcosa d’attivo l’attesa e la frustrazione).
Infine anche gli esercizi in cui si fanno interagire pensiero ed emozioni sono utili a questo tipo di finalità. Ci possono essere tanti modi per farlo, tra i più efficaci ci sono quelli che attivano modalità più trasversali e multi-funzione, come la rappresentazione grafica del pensiero, l’utilizzo di simboli e icone come elemento di connessione tra parti razionali e quelle più istintive, la triangolazione di queste due funzioni tramite il corpo.
PERDITA E INFIAMMAZIONE NEURONALE
Nello sviluppo del sistema nervoso i bambini hanno un’iper-produzione di neuroni e connessioni sinaptiche. L’evoluzione prevede che una parte di questa rete neurale sia consolidata, mentre una parte venga abbandonata. Non si tratta, come si credeva fino a qualche tempo fa, di un semplice meccanismo che mantiene quello che viene usato e abbandonato quello in eccesso. La microglia, una sostanza di sostegno e nutrimento di tutto il nostro sistema nervoso (che svolge anche un ruolo centrale a livello immunitario), svolge un ruolo fondamentale in questo processo di mantenimento o “sfoltimento” del nostro sistema nervoso.
Quando un bambino si trova ad affrontare un forte stress non controllabile e non prevedibile, la microglia non riesce a svolgere correttamente il suo lavoro e, inoltre, rilascia una gran quantità di neurotrasmettitori che generano neuro-infiammazione. Da questo punto di vista svolge un ruolo centrale l’azione sull’infiammazione che parte da quello che mangiamo e dallo stile di vita. Spesso l’alimentazione di chi ha subito traumi o grandi stress è disregolata e compensatoria, ad esempio abusando di sostanze infiammatorie come cioccolato e grassi. Invece è necessaria proprio l’azione contraria. Inoltre la microglia porta nutrimento ai neuroni, quindi deve avere sostanze che siano realmente nutrienti e non povere o con effetti collaterali.
SISTEMA DIGERENTE E IMMUNITARIO
La connessione tra cervello e intestino è ormai nota. Per chi volesse approfondire rimandiamo all’articolo che abbiamo dedicato a questo tema. Qui ci limitiamo a ricordare che l’intestino, noto anche come “secondo cervello” è collegato direttamente e tramite più vie al primo cervello e che il loro influenzamento è reciproco.
L’intestino svolge un ruolo centrale nel sistema immunitario e, attraverso diversi processi, ha un rapporto di reciproco influenzamento anche con le emozioni. In questo processo il microbioma intestinale svolge un ruolo centrale.
Rispetto al tema di questo articolo dobbiamo notare che il microbioma di persone che hanno vissuto eventi traumatici in infanzia, ma non solo, risulta molto alterato e in condizioni assolutamente non fisiologiche.
Queste condizioni portano infiammazione di tutto l’organismo, che a sua volta sostiene altre problematiche sia a livello di struttura che di funzioni. In questo caso è necessario agire direttamente sull’alimentazione, ma anche sullo stile di vita (orari, sonno, ecc.), sulla flora batterica in modo mirato e sul sistema linfatico e le sue funzioni di eliminazione tossine e supporto al sistema immunitario. Un lavoro in sinergia tra alimentazioni ed emozioni amplifica l’effetto a entrambi i livelli e crea la possibilità di agire in modo diretto su alcune risposte emotive primitive che sono fortemente collegate sia con la sopravvivenza che con il piacere.
EPIGENETICA
L’epigenetica ci insegna che a fare la differenza non è solo il patrimonio genetico di una persona, ma il modo in cui “si esprime”. Si tratta del processo attraverso cui l’informazione contenuta in un gene – costituita di DNA – viene convertita in una macromolecola funzionale, che tipicamente è una proteina.
Questo può modificare significativamente ogni ambito della nostra vita, dai processi digestivi al tipo di cute che abbiamo, dalle reazioni emotive al modo di pensare fino al sistema immunitario, solo per fare qualche esempio. Si tratta di un processo piuttosto complesso, ma possiamo semplificarlo, giusto per rendere l’idea in questo modo: in caso di stress forti e prolungati un gruppo metilico si attacca ai geni coinvolti nella regolazione della risposta di stress, impedendogli di fare il loro lavoro correttamente. Dal momento che la funzione di questi geni è alterata, la risposta di stress rimane attiva ed elevata non riesce a tornare in fisiologia.
Diventa così più chiaro come mai alcune persone presentano delle reazioni smisurate rispetto allo stimolo di partenza: una frase poco gentile del barista fa scoppiare in lacrime, una persona che ci taglia la strada in automobile fa arrabbiare in modo intenso e crea uno stato d’animo che dura troppo a lungo, ecc.
Questa chiave di lettura rappresenta un’importante nuova prospettiva rispetto alle tipiche interpretazioni precedenti. Infatti in passato si consideravano le iper-reazioni agli stimoli come modi di rivivere il vecchio evento traumatico nelle esperienze presenti, oppure come dinamiche di proiezioni mentali o identificazioni tra chi taglia la strada oggi e la persona che aveva causato il trauma e così via. Queste chiavi di lettura rimangono valide e da esplorare di caso in caso, ma oggi è importante considerare anche l’espressione genica modificata e trovare modalità dirette per regolarla, parallelamente al lavoro psicologico, relazionale ed emotivo.
Questa iperattivazione continua porta il nostro organismo in stato di infiammazione, che a sua volta aumenta il rischio di malattie autoimmuni, cancro, depressione e altre problematiche. Si tratta di un rapporto circolare, in cui molti dei fattori possono essere sia causa che conseguenza. Una tristezza prolungata può alterare il funzionamento neurobiologico, ma anche esserne la conseguenza.
Ci possono essere una catena di effetti: un’alimentazione scorretta ha effetti infiammatori e questo può modificare direttamente nel breve l’espressione delle emozioni e, alla lunga, modificare l’espressione genica che, a sua volta, modificherà l’espressione delle emozioni.
Queste risposte emotive disfunzionali indotte dalla variazione epigenetica, a loro volta, possono alterare i nostri processi digestivi e metabolici, in grado di alterare la valutazione cognitiva che innesca una risposta emotiva e dovrebbe modularla… e così via. Per questo motivo, ancora una volta, ribadiamo come sia fondamentale agire sempre a più livelli e con differenti modalità.
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