14 Nov Il protocollo in 8 fasi per le emozioni
Fabio Sinibaldi, uno dei fondatori di Real Way of Life, ci racconta oggi come è arrivato a sviluppare il Protocollo in 8 fasi per le emozioni e perché sta avendo tanti riscontri positivi.
Lavorando in tanti ambiti diversi (clinica, consulenza, ricerca, docenza) mi sono reso conto che, nonostante le specificità di ogni persona e di ogni contesto, era possibile identificare degli elementi comuni alla base di diverse problematiche relazionali, affettive e comportamentali. Il bambino che fa i capricci, la ragazza che soffre per amore, la mamma stressata dai ritmi frenetici o il manager in perenne competizione vivono realtà molto diverse, eppure i meccanismi emotivi alla base delle loro soddisfazioni, delle loro sofferenze e, spesso, delle somatizzazioni sul corpo, hanno una serie di meccanismi in comune.
Molte discipline hanno già cercato di trovare spiegazioni e soluzioni a questo fenomeno, ma a me sembrava sempre mancare un pezzo. Per quanto queste discipline potessero trovare spunti interessanti, in certi casi geniali, a volte mancava una lettura unificante, perlomeno per il concetto di “unificante” che avevo in mente io. Ad esempio ci sono modelli che funzionano bene solo con i bambini o solo con gli adulti, modelli interessantissimi in ambito lavorativo, ma che sono applicabili solo in quel campo specifico. Altre discipline propongono soluzioni mirate per certi tipi di persone (più riflessivi, più motivati, più capaci di mentalizzare o visualizzare, ecc.) ma non adatte per altre caratteristiche personali. Altri approcci ancora non sono applicabili in tutti i contesti o richiedono tempi molto lunghi. Se esistono tante discipline, a volte anche con approccio opposti, vuol dire che tutte hanno ragione, solo che si focalizzano su aspetti diversi. La nostra ambizione non era di creare qualcosa di migliore, posto che possa esistere qualcosa di “migliore” in questo campo. Piuttosto eravamo intenzionati a sviluppare qualcosa di trasversale, che tenesse in considerazione e integrasse gli aspetti mentali, corporei, evolutivi e neuroscientifici.
Per cercare di trovare un fattore unificante e di individuare, se possibile, le tecniche più efficaci per tutte le disfunzioni emotive siamo partiti da un’intuizione importante, che avrebbe poi modificato per sempre il mio modo di lavorare e tutto l’approccio di Real Way of Life. L’uomo possiede le emozioni come tutti i mammiferi, fanno parte del nostro sistema di adattamento e sopravvivenza, ma l’evoluzione di vita dell’uomo non è stata seguita di pari passo da un’evoluzione del suo sistema emotivo. Le emozioni sono state sviluppate dai mammiferi per affrontare stress ambientali occasionali e delimitati nel tempo. L’animale vive in uno stato fisiologico la maggior parte del tempo, le emozioni lo attivano, ad esempio per combattere o scappare da un predatore. Entro pochi pochi minuti la preda sopravvive o muore. Se sopravvive ritorna in fisiologia fino al prossimo pericolo. Noi esseri umani, invece, viviamo in un mondo di pericoli che durano in modo continuativo e si sovrappongono: corriamo il rischio di arrivare in ritardo perché c’è traffico, poi non troviamo parcheggio, il ritardo ci fa rischiare di litigare con il capo e ci fa pensare che per recuperare torneremo a casa tardi e, di conseguenza, ci dispiace per chi ci aspetta a casa o perché dovremo sacrificare la nostra passione quella sera. Le nostre emozioni sono attive a lungo, spesso diventando disfunzionali proprio a causa del mancato recupero e del ritorno in fisiologia. Spesso quello che noi chiamiamo “allenamento allo stress” non è realmente tale. Il nostro organismo e la nostra mente possono sviluppare risorse per resistere maggiormente allo stress, ma la maggior parte delle volte queste risorse non si creano e semplicemente non sentiamo più lo stress perché è diventato come una sorta di rumore di fondo costante a cui non prestiamo più attenzione (perlomeno fino a che il sistema non si logora e, apparentemente all’improvviso, la mente o il corpo crollano stremati).
Un’altra grande differenza tra le emozioni degli animali e quelle umane riguarda la quantità. Un cane, ad esempio, rischia di essere predato o di farsi male scendendo da un dirupo molto ripido e poche altre cose. Un uomo corre il rischio di farsi male sui gradini, sollevando in modo scorretto i sacchi pesanti della spesa, ma anche una serie di “rischi virtuali” e non fisici come fare brutta figura, non passare un esame, sentirci incompresi, rimanere con il cellulare scarico quando sarebbe utile, ecc. Non importa l’impatto reale del rischio ma il significato attribuito (infatti alcuni adolescenti non hanno la minima paura di fare parapendio ma sono disperati se non possono scrivere messaggi col cellulare agli amici per più di un’ora) e questo aumenta a dismisura il numero di rischi che possiamo incontrare ogni giorno.
Per trasformare queste osservazioni in qualcosa di ancora più concreto le abbiamo riviste alla luce delle ultime scoperte delle neuroscienze. Ci sono studi molto interessanti che hanno mappato, ad esempio i processi neurali e ormonali di paura e rabbia, identificando i processi comuni e le differenze, mettendo in luce l’esistenza di due vie: una veloce, diretta e non consapevole; l’altra più lenta, con passaggi intermedi e consapevole. Questo tipo di osservazioni ci mette in grado di capire che è necessario agire su entrambe le vie e con la giusta sequenzialità.
Inoltre l’esatta comprensione di quali aree cerebrali si attivano in una determinata risposta emotiva ci permette di sapere su quale funzioni agire e in che modo.
Per fare un esempio pratico: nella risposta di collera si attivano diverse aree cerebrali, tra cui la sostanza grigia periacqueduttale. Anche se non siamo grandi amanti del sistema nervoso e non ne conosciamo i dettagli, qui ci basta sapere che quest’area del cervello è deputata all’elaborazione delle mappe corporee e alla gestione del dolore fisico. Questa informazione diventa utilissima nel momento in cui dobbiamo aiutare una persona con problemi di aggressività perché ci mette in grado di agire su una componente importante, spesso tralasciata da molti approcci per la gestione dell’aggressività. Inoltre il momento in cui si attiva quest’area, la conoscenza di quali altre aree sono ad essa collegate e se permettono di aumentarne o ridurne gli effetti, ci mette in condizione di poter agire direttamente e indirettamente nel modo più efficace.
Mettendo insieme tutte queste informazioni e a seguito di una serie di test pratici siamo così arrivati ad elaborare il Protocollo in 8 fasi per le emozioni.
Ogni fase viene prima della precedente per uno specifico motivo e permette a quella successiva di avere il massimo effetto nei tempi più adeguati di recupero o riattivazione del funzionamento fisiologico.
Ogni fase è costituita da un insieme di tecniche e strategie.
FASE 1. Conoscere l’emozione e ripristinare fisiologia di base
Comprenderne il significato evolutivo e quello adattatativo, le possibili modalità funzionali e disfunzioni, quali sono i fattori attivatori e quali, invece ne bloccano o inibiscono l’espressione. Ogni emozione può essere ben “mappata” nelle sue modalità e funzioni. Conoscere questi aspetti, così come le categorie di eventi esterni, comportamenti altrui, pensieri, fattori neurologici e biochimici che le innescano, le fermano o le fanno degenerare è fondamentale per riprendere il controllo e riattribuirgli un valore costruttivo e fisiologico.
FASE 2. Normalizzarla
Capire i meccanismi adattattivi che una certa emozione attiva, la loro utilità, i cambiamenti corporei, di schemi mentali e comportamentali che può innescare nel breve e nel lungo periodo. Si tratta di guardare a sé ma anche agli altri, in modo da avere parametri di riferimento e possibilità di mutuare nuove strategie. È importante apprendere sia in modo teorico che esperienziale le diverse possibilità di attuazione e le relative implicazioni e conseguenze su di sé e sugli altri. In questa fase è possibile sfruttare le potenzialità dei neuroni specchio tramite un’attività osservativa mirata e ben strutturata. Per normalizzare un’emozione è fondamentale sviluppare una consapevolezza non solo cognitiva, ma anche a livello emotivo e di identità attraverso una serie di esperienze e tecniche appositamente sviluppate.
FASE 3. Inquadrarla
Individuare correttamente i diversi contesti di attivazione, le proprie reazioni funzionali e disfunzionali, i collegamenti con i propri Bisogni Ancestrali, con la propria Identità e con le modalità di Pensiero, i fattori di espressione, le soluzioni alternative. Si tratta di una fase molto ricca di modalità esplorative, che possono poi portare all’accettazione di certi fattori immutabili o alla soluzione a posteriori o preventiva della disfunzione emotiva o delle sue conseguenze.
FASE 4. CNV e Biofeedback
Conoscere le risposte espressive non verbali, i comportamenti automatici e le attivazioni biologiche del nostro corpo quando viviamo una determinata emozione per imparare a controllarla e a gestire le reazioni inconsapevoli degli altri rispetto a come le esprimiamo. In questa fase si impara ad utilizzare le Inversioni di Schema per riportare fisiologia curando risposte di biofeedback molto dettagliate e specifiche, come ad esempio l’extra-rotazione delle spalle nelle reazioni di rabbia. Ci si focalizza su riflessi innati ancestrali (tipici dei mammiferi in situazioni di difesa del corpo e come comunicazione sociale nel branco per definire ruoli, dominanza, ecc.), estremamente efficaci per la regolazione indiretta delle emozioni.
FASE 5. Fronteggiare
Imparare a “stare di fronte” ad un’emozione è un’abilità emotiva, ma anche mentale e, soprattutto, fisica. Stare di fronte a un’emozione ci permette di ottenere consapevolezze sui rischi e le conseguenze reali, anziché ipotizzate dalla nostra mente, sviluppa consapevolezza delle nostre risorse, attiva circuiti dell’autocontrollo e dell’autostima che non passano dal verbale. Si tratta di un aspetto fondamentale nella regolazione delle dinamiche interpersonali. Per “stare di fronte” a un’emozione ci sono tanti modi, da quelli più concreti a quelli più simbolici, da quelli statici a quelli attivi.
FASE 6. Modulare
È probabilmente la fase più delicata e importante di tutto il processo. La maggior parte dei problemi emotivi riguarda, infatti, la tendenza ad inibire una certa emozione o di perderne il controllo. Questo avviene perché culturalmente e per una serie di altri fattori educativi tendiamo ad evitare di esprimere un ‘emozione, ad esempio l’aggressività, anche quando sarebbe sana e costruttiva (definizione dei limiti, gestione delle invasioni altrui, protezione di ciò che è importante, ecc.). Al contrario viviamo spesso la paura, che viene anche usata anche in ambiti non sospetti come nella creazione di telefilm per “affezionarci” e tenerci inchiodati fino alla prossima puntata, per non parlare dei bravi venditori che fanno leva sulle nostre paure. In ogni caso disimpariamo a modulare la giusta risposta e questo ci crea problemi. La fase 6 serve ad invertire questo processo, riscoprendo che per ogni emozione esistono, come minimo, da 7 a 12 diversi livelli di modulazione.
FASE 7. Aumentare le alternative di risposta
Un grosso limite nelle reazioni emotive non è sempre e solo nella parte di sensazioni e pensieri, ma risiede nei comportamenti che mettiamo in atto. Ripristinare tante alternative e la possibilità di scegliere sono due tra le più grandi risorse e libertà a disposizione dell’uomo. Esistono tante modalità per ideare risposte alternative e renderle parte integrante del nostro repertorio, dal cambio di paradigma mentale al superamento dei vecchi “engrammi” comportamentali, dal pensiero creativo-generativo agli strumenti visuali, ecc.
FASE 8. Training over-limbic
Si tratta di una tecnica che abbiamo messo a punto per riuscire a superare quei (pochi) riflessi innati che non sono più fisiologici per come vive oggi l’uomo. Questa fase può anche essere usata per modificare le risposte disfunzionali che ci sono ormai consolidate da tempo e risultano difficili di scardinare. Questo training si focalizza sull’apprendimento di nuove modalità che possono agire, a un certo punto, quasi con la stessa velocità di riflessi innati, ma con più flessibilità rispetto alle variabili contestuali.
Si tratta di un protocollo ormai ben consolidato dalla prova sul campo e da ulteriori ricerche che abbiamo svolto per verificarne l’efficacia. Dopo i primi aggiustamenti ha raggiunto la struttura attuale che, comunque, viene sempre monitorata e aggiornata per mantenere la massima efficacia.
Un riscontro positivo per noi molto importante è che questo protocollo è stato appreso e utilizzato da diversi professionisti e in differenti ambiti. Dall’analista junghiano allo psicoterapeuta cognitivista in ambito terapeutico, da coach in ambito aziendale, da educatori con ragazzi di tutte le età, da infermieri specializzati in trauma, da fisioterapisti, osteopati e altri professionisti del settore e così via. Ovviamente c’è chi lo ha utilizzato nella sua forma integrale o originale e chi l’ha adattato al proprio contesto e integrato con conoscenze e tecniche pregresse, ma tutti ci hanno fornito feedback positivi. Molti di loro hanno anche partecipato attivamente alle ricerche fatte per sulla base di questo modello, fornendoci riscontri effettivi degli effetti sul paziente/cliente.
Se ti interessa approfondire il modello, conoscere in dettaglio tutte le sotto-fasi, puoi partecipare alla prossima edizione del Corso sul Protocollo Emotivo in 8 fasi.
Se ti interessa il tema dei pazienti difficili, con problemi psicosomatici o resistenti al cambiamento puoi trovare interessante il Corso Real Way of Life.
Se ti occupi di bambini, puoi scoprire come il modello si applica a loro nel Master Bambini Speciali.