03 Set Conflitti e Ruminazione: cosa fare con il paziente – Gli schemi funzionali integrativi
Proseguiamo la serie di casi pratici inaugurata con l’articolo Ansia e Somatizzazioni: cosa fare con il paziente.
L’obiettivo è di vedere le possibili modalità applicative e i vantaggi di includere nella pratica quotidiana le Scienze Integrative Applicate, i suoi schemi di lavoro, i modelli e le tecniche che le caratterizzano.
Vediamo di seguito un esempio e – differentemente dal caso precedente – questa volta usiamo come guida gli Schemi Funzionali Integrativi. In questo caso si tratta di lavorare sul processo, analizzando e agendo sulle diverse fasi di attivazione di un comportamento, che sono state individuate seguendo i processi mentali e i relativi correlati neurobiologici sottostanti.
CASO 2
Prendiamo il caso di una giovane ragazza, che tende facilmente ad essere conflittuale nelle relazioni e che passa molto tempo a rimuginare.
Analizziamo insieme a lei l’ultimo litigio che ha affrontato.
Sfruttando gli Schemi Funzionali Integrativi è possibile distinguere se la disfunzione in quel litigio prende forma, ad esempio, nella non corretta interpretazione dei segnali interpersonali e contestuali, nella difficoltà o resistenza a introdurre nuove informazioni nei propri schemi mentali e di rappresentazione della realtà, oppure ancora nelle previsioni di come andranno le cose, che vengono fatte in modo autonomo e assolutamente indipendenti dai dati della specifica realtà che si sta vivendo in quel momento.
Tutti questi meccanismi prendono forma nelle fasi di Previsione, Intercettazione, Etichettamento e Valutazione in un crescendo da fenomeni totalmente al di sotto del livello della nostra coscienza verso processi sempre più consapevoli e, almeno in parte, gestibili in modo volontario.
AGIRE FIN DAL PRINCIPIO
In questi diversi casi le possibilità di azione sono molte:
- Si può sfruttare la rappresentazione visiva e grafica per introdurre nuove informazioni e renderle salienti, favorendone la percezione e l’integrazione con il proprio punto di vista, ad esempio attraverso la tecnica del Pensiero Ideografico.
- Un tratto neurobiologico comune a tutte le persone che non prendono in considerazioni nuove informazioni o punti di vista è l’eccesso di glutammato nei neuroni, che può essere facilmente tenuto sotto controllo con semplici accorgimenti alimentari.
- Un modo interessante per forzare una nuova valutazione corretta della realtà, by-passando previsioni negative e automatismi, consiste nell’utilizzo delle tecniche di Reboot, che fornendo stimoli incoerenti o innaturali al sistema percettivo (ad es. caldo e freddo insieme), lo obbligano a riprocessare i dati sensoriali in ingresso, proprio come quando resettiamo il computer con Control-Alt-Canc.
CONDIVISIONE, FILMATI, TECNICHE E PROGETTAZIONE
Come avete visto, è un sistema molto pratico e che viene condiviso con il paziente. Lavoriamo su schede che illustrano le diverse fasi o le loro sotto-componenti, i pazienti se le portano a casa come promemoria, per inquadrare correttamente quello che sta succedendo o per un ulteriore lavoro di approfondimento e riflessione.
Oltre al lavoro in seduta, in casi come questo è utile l’analisi dei filmati o l’osservazione sul campo, perlomeno quando il contesto lo permette (come potrebbe succedere in un conflitto verbale durante una presentazione in pubblico).
Per la paziente di cui stiamo parlando, ad esempio, è stato fondamentale potersi rivedere in un filmato mentre litigava al parco giochi con sua figlia, analizzando ogni singolo elemento funzionale e disfunzionale in lei e in tutta la dinamica relazionale (caratterizzate da scarsa fiducia e tentativi di imposizione di potere).
L’osservazione e l’analisi delle dinamiche comportamentali o degli altri flussi (comunicativi, ideativi, posturali, ecc.) rappresenta solo la fase iniziale. In un secondo momento può avere luogo un lavoro di sperimentazione attiva e di applicazioni di nuovi schemi comportamentali e relazioni. Seguendo il nostro schema siamo in fase di Modulazione, dove il comportamento prende forma.
Qui, se le fasi precedenti e successive vengono gestite in modo corretto, si può dare forma a delle esperienze trasformative molto efficaci. Perché funzionino, è necessario isolare gli specifici meccanismi su cui ci interessa lavorare, che possiamo facilmente individuare grazie alle sotto-componenti degli Schemi Funzionali o degli Switch (ad es. bloccando gli automatismi di risposta difensiva iniziale, oppure isolando il network dell’Uncertainty o i meccanismi di sfida interpersonale).
L’altro elemento cruciale risiede nel curare bene le sequenze e i tempi di attivazione (per questo abbiamo chiamato questo processo HXD: Human eXperience Design), in modo da sfruttare al massimo tutti i fenomeni di plasticità neurale, di riconsolidamento e di trascrizione epigenetica alla base del cambiamento efficace e duraturo.
Non sono mai stato un grande fan dei role-playing, sia in psicoterapia che in formazione. Sono esercitazioni sicuramente utili a prendere dimestichezza con i principi di base, ma c’è sempre un alone di recitazione e distacco, le persone sanno che “stanno facendo finta”. Con l’HXD si lavora sull’esperienza reale, che è realistica per definizione e – proprio grazie alla progettualità e alla cura dei dettagli – fornisce esperienze trasformative positive.
TERMINARE IL CONFLITTO, INIZIARE LO SVILUPPO
Vediamo un ulteriore aspetto in cui gli Schemi Funzionali Integrativi possono esserci utili.
Abbiamo detto che questa paziente tende alla ruminazione, soprattutto quando il litigio con l’altra persona si conclude nella realtà, eppure nella sua mente il discorso procede per ore.
Dobbiamo ricordarci – e ricordare alla paziente – che ogni comportamento che mettiamo in atto ha uno scopo. Raggiunto quello scopo deve essere terminato, in modo da poter tornare in stato di quiete e rigenerarsi, oppure per occuparsi di un altro compito evolutivo o adattativo.
Possiamo aiutare la paziente a concettualizzare questo meccanismo spiegandole che la fase di Modulazione, se gestita correttamente, a un certo punto deve andare in Terminazione. Che la paziente consideri il litigio vinto o perso (a seconda di come è stato considerato nelle prime fasi), continuare a litigare nella sua mente non ha nessuna utilità, è solo logorante.
Possiamo concepire che, terminato il litigio in personam, si chiuda quel processo e se ne apra un altro. Attraverso questo successivo passaggio si rivaluta quanto appena successo, l’efficacia della propria strategia (che, più o meno in modo consapevole, è stata impostata in fase di Problem Setting), si rinegozia l’immagine di sé e si elaborano una serie di altri meccanismi. Questo è un processo virtuoso di analisi per migliorare ed evitare di ripetere gli stessi errori in futuro.
Molte persone, tuttavia, non arrivano a questa fase o non riescono a farla in modo strutturato in autonomia, cadendo in rabbia o in commiserazione. La nostra paziente, ad esempio, ha trovato molto efficace ridefinire l’obiettivo e la strategia dei suoi comportamenti in modo organizzato – attraverso la tecnica della Modulazione Emotiva – creandosi un repertorio di comportamenti diversificati tra cui scegliere in modo consapevole, invece di agire in modo impulsivo.
L’altro aspetto che ha trovato molto utile è stato quello di allenarsi ad avere, parallelamente, un nuovo schema motorio ed emotivo – come prima risposta non cosciente – rispetto alle dinamiche interpersonali.
Per farlo abbiamo usato una variante dell’Accomodamento Interpersonale in cui si innesca una risposta difensiva.
Vediamo un esempio semplice: quando due persone stanno parlando, in piedi una di fronte all’altra e una di loro improvvisamente alza un po’ la voce e fa un passo in avanti, l’altra mette in atto in modo involontario uno schema in cui cambia postura, modo di parlare e percezione del proprio ruolo in quella situazione.
Con la tecnica dell’Accomodamento Interpersonale facciamo diversi passaggi. Di base inneschiamo questo tipo di reazione e poi la “neutralizziamo” ricercando lo schema opposto (se le spalle si alzano le facciamo abbassare, se la voce si velocizza la facciamo rallentare, ancora più del ritmo normale), bloccando in questo modo la riconferma dello schema ed evitando che si rinforzi.
Successivamente lavoriamo sulla memoria muscolare periferica, ad esempio con brevi contrazioni intense oppure con lo spray freddo che si usa quando si prende una botta facendo sport. In questo modo, all’innesco successivo, il vecchio schema non trova la solita configurazione di fattori disponibili e quindi non può prendere forma. Invece, è così costretto ad elaborare una nuova risposta meglio calibrata sulle esigenze contestuali.