19 Ott Come decidiamo: quali sono i processi che guidano realmente le nostre scelte? Dalle neuroscienze le chiavi di lettura e alcuni suggerimenti pratici
Articolo a cura di Fabio Sinibaldi
Personalmente, nella vita, credo di aver preso tante decisioni sbagliate. Sicuramente ce ne sono e ce ne sono state di molto azzeccate, alcune fortunate e, forse, qualche piccola illuminazione.
Eppure – se sono sempre io a scegliere – c’è qualcosa che non va… come posso usare metodi simili, avere sempre gli stessi valori e giungere a decisioni con esiti così diversi?
Questo è uno dei motivi per cui tempo fa ho deciso di approfondire da una prospettiva scientifica e completa questo appassionante argomento: COME DECIDIAMO.
Il tema è di ampio respiro e, talvolta, con significative ricadute.
Scegliere la casa giusta, la modalità finanziaria migliore per potersela permettere, decidere dove andare a un bivio di carriera, sono tutte scelte che ti possono cambiare la vita.
Anche scelte più piccole, tuttavia, possono avere il proprio impatto. Scegliere tra una mela e un cioccolatino, se accade solamente una volta, non fa la differenza. Ma se questa scelta avviene tutti i giorni, magari due volte al giorno, può cambiare radicalmente il nostro stato di salute e l’immagine che abbiamo di noi come “salutisti” o come “golosi che non sanno resistere”. Eppure sono sempre scelte, ogni volta possiamo decidere in che direzione andare.
Abbiamo visto due esempi a livello personale, ma lo stesso vale per le decisioni prese in ambito professionale, da soli o con il proprio gruppo di lavoro.
Diventa così fondamentale capire come scegliamo, che cosa ci influenza e quali sono i passaggi che il nostro cervello compie per arrivare a una decisione.
Per ora anticipiamo che non è proprio solo il cervello a decidere e che, più che che in termini di processo lineare, dovremmo ragionare in termini di reti neurali (in senso letterale e come modello di rappresentazione di qualcosa di complesso).
FACCIAMO UN ESPERIMENTO
Partiamo da una prova pratica.
Immaginate di avere davanti le foto di 8 belle donne – o uomini – e di dovere decidere qual è la più bella.
Come fate? Vi appare ovvia la scelta?
Usate dei criteri? Quali? Provate ad elencarli.
Siete sicuri che siano questi i veri motivi della vostra scelta? Se siete in dubbio sulla risposta… avete ragione!
Proviamo a fare un passaggio in più: ora non dovete decidere quale foto preferite, ma dovete scegliere la foto che, secondo voi, sceglierà la maggior parte delle persone.
Ora come fate? Che cosa cambia rispetto a prima?
Usiamo spesso questo doppio quesito per iniziare le attività di consulenza con i team e le equipe che devono prendere decisioni complesse importanti, sia che agiscano a livello clinico sia che si tratti di gestione aziendale.
Come avrete provato sulla vostra pelle non è per niente semplice, tanto che l’unico modo per avere una risposta certa prevede di creare un modello multi-dimensionale in cui vengono considerati diversi fattori.
Al fine di individuare questi fattori e sviluppare il modello, le neuroscienze ci possono essere di grande aiuto. Vediamo sinteticamente in questo articolo alcuni degli spunti più interessanti.
3 CONCETTI FONDAMENTALI
Decidiamo prima di decidere
Prendiamo una persona che non sa che alla fine dovrà fare una scelta e misuriamo la sua attività cerebrale tramite fMRI (risonanza magnetica funzionale) durante tre fasi.
1. Inizialmente le chiediamo di guardare per qualche istante un’immagine che ritrae del cioccolato.
2. Nella seconda fase le forniamo l’informazione del prezzo di quel cioccolato.
3. Durante la terza fase le chiediamo di scegliere se acquistarlo o meno.
Al termine della procedura chiediamo alla persona quando e come ha scelto. Tutti i partecipanti rispondono che hanno scelto solo nella fase 3, perché solo in quel momento è stato chiesto loro di decidere sul “come” ci vengono proposte diverse ipotesi.
Guardando le immagini raccolte tramite fMRI si nota però qualcosa di diverso. Le persone che hanno deciso di acquistare il cioccolato hanno attivato in fase 1 e 2 le stesse aree cerebrali in modo simile. Di contro quelle che hanno deciso di non acquistare hanno mostrato attivazioni di aree cerebrali secondo schemi analoghi tra loro.
Questo significa che, benché la decisione venga attuata solo alla fine, i dati su cui viene presa (senso del piacere, immagine di sé, sensi di colpa, valutazione delle conseguenze nel tempo, auto-regolazione, fame, ecc.) sono stati già attivati in modo da determinare la scelta seguente.
Questa conoscenza porta implicazioni importantissime per chi si occupa di scelte, che possono riguardare il cambiamento di stile di vita tanto quanto una decisione in ambito professionale: solo attivando in modo corretto tutte le aree cerebrali deputate potremo arrivare veramente a decisioni complete e soddisfacenti. In caso contrario le nostre scelte saranno guidate dal caso o da quello che altri – volontariamente o meno – sono andati ad attivare in noi.
Ad esempio, per favorire questo processo in modo corretto abbiamo elaborato un metodo chiamato RDM Reverse Decision Making ©, che percorre il processo decisionale a ritroso in modo da includere ogni fase ed evitare fenomeni di esclusione o sovrapposizione tra passaggi successivi.
Come funzionano percezione e conoscenza
Tutti sostengono che la pubblicità non li influenza, che loro “non ci cascano”. Di contro, quando chiedi a qualcuno come si è convinto che un prodotto sia migliore di un altro, vengono quasi sempre portate motivazioni vaghe, basate su pregiudizi non verificabili.
Per capire che cosa succede realmente nella nostra mente è necessario fare un passo indietro e ricordarci che noi non vediamo il mondo com’è e non sentiamo i suoni come sono. Il nostro sistema percettivo smonta gli input in ingresso e li rimonta al suo interno per creare suoni o immagini che non sono necessariamente la copia fedele del mondo esterno.
Avete la prova di questo quando rivedete o riascoltate qualcosa dopo aver appreso nuove informazioni. Dopo aver studiato musica la canzone che conoscevamo bene non è più la stessa, sentiamo note e armonie che prima non eravamo in grado di cogliere; dopo aver studiato anatomia il corpo di una persona non è più semplicemente “sdraiato” ma ne individuiamo le fasce muscolari, le ossa, ecc.
Se assaggiamo un prodotto conosciuto (ad esempio un vino) “camuffato” da altro (ad esempio messo in una bottiglia di un altro vino) si accendono aree cerebrali legate al sapore e alle emozioni. Quindi noi non sentiamo un vino in assoluto, ma ricostruiamo il suo sapore in base anche all’esperienza e alle aspettative.
Anche questa seconda osservazione ha ricadute importanti. Non dobbiamo considerare la pubblicità come una spinta a comprare, ma come informazioni che vanno a influenzare il modo di decidere. Allo stesso modo possiamo allora pensare a quale “percorso di informazioni” (Information Pathway ©, nel nostro modello) fornire a una persona in modo da favorire una scelta corretta e consapevole e a quali modalità usare per mettere in luce false sensazioni (Neutral Setting ©) che potrebbero far compiere scelte impulsive e non fondate.
La forza (e la debolezza) di volontà
È possibile scegliere grazie alla forza di volontà? Si, ma solo in parte. Inoltre bisogna capire che cosa è, di fatto, questa forza di volontà.
La forza di volontà sta infatti nelle cortecce prefrontali e ci sono diverse ricerche che dimostrano che la potenza di questa area cerebrale è più legata al metabolismo del glutammato che non a uno sforzo cognitivo volontario. O meglio, questo sforzo cognitivo volontario può avvenire se trova le risorse necessarie.
Inoltre, questa parte del cervello deve dialogare – non imporsi – con le altre aree deputate alle risposte emotive di sopravvivenza, con i centri del piacere e della ricompensa, con le strutture di autoregolazione e legate all’immagine di sé e così via.
Questo dialogo è favorito in tanti modi, attraverso connessioni sviluppate esercitandole in modo diretto, ma anche sviluppato nel tempo attraverso la segnatura epigenetica, il contatto, l’esercizio fisico, ecc.
Prima di tutto è quindi fondamentale sviluppare, nutrire e far riposare in modo corretto queste basi neurobiologiche della volontà.
In seconda istanza è importante capire come si parlano le diverse aree, che funzioni hanno e a quali condizioni lavorano in modo efficace (Neuro Decision Making ©).
Ad esempio la corteccia ventromediale prefrontale ci ricorda che tipo di persona vorremmo essere (obiettivo a lungo termine) e ad agire coerentemente con essa. Per farlo ha bisogno di più tempo e più energia rispetto ai circuiti emotivi di base, va quindi supportata portando alla memoria questi obiettivi prima dell’insorgere dell’emozione (mentre vanno evitate decisioni prese in fretta).
La stessa area ci permette di prendere in considerazione più variabili contemporaneamente (sapore, salute, ecc.) e funziona meglio attraverso valutazioni in parallelo (sinossi) e non approfondimenti individuali sulle diverse opzioni e le loro implicazioni. Per questo motivo è importante evitare il pensiero seriale, mentre va favorito il Pensiero Ideografico © (che permette rappresentazioni veloci, multi-sistemiche e modulari).
Abbiamo visto come la corteccia ventromediale prefrontale sia coinvolta nei processi legati alla persona che vorremmo essere, nel senso di quali obiettivi ci proponiamo di raggiungere in futuro. Invece l’insula svolge un ruolo importante per valutare come vorremmo essere con maggiore accento sugli aspetti corporei (immagine e mappe). Per aiutare l’insula in questo lavoro è fondamentale il ruolo dei sensi esterni ed interni (interocezione).
ALTRI CONCETTI UTILI
Oggi si parla di embodied cognition, ovvero di un pensiero che è nel corpo. Detto in altre parole, per pensare correttamente ci vuole tutto il corpo, il solo cervello perde potenzialità se viene isolato dal resto dell’organismo.
In un precedente articolo abbiamo presentato il tema, puoi leggerlo qui.
Un altro tema fondamentale riguarda i processi decisionali ancestrali che abbiamo ereditato nella nostra evoluzione di mammiferi. Ad esempio l’abbondanza o la scarsità influenzano le modalità di scelta in gruppo e portano al passaggio da un atteggiamento cooperativo ad uno agonistico (mors tua vita mea, per dirla in latino).
Ci sono molti fattori esterni ed interni che possono favorire o penalizzare i processi decisionali: ad esempio certi tipi di musica sono in grado di inibire la capacità delle cortecce prefrontali di pensare in modo razionale, proprio come può avvenire a seguito di un evento traumatico. Di contro altri tipi di musica possono favorire la concentrazione e il pensiero sistemico, così come alcuni tipi di luce e di odori.
Abbiamo preso in considerazione solo tre aspetti importanti e citato brevemente altri tre concetti, ma ce ne sono molti altri. Ci ripromettiamo di approfondire ulteriormente l’argomento in un prossimo articolo.
I campi di applicazione di un corretto e ricco processo decisionale sono molti:
- A livello di vantaggio personale in ogni scelta
- Per favorire il cambiamento in casi di resistenza o scarsa motivazione
- Nella collaborazione dei team di lavoro
- Per analizzare e decidere rispetto a situazioni complesse
- Per uscire da situazioni di stallo o conflittuali
- In situazioni in cui ci siano pressioni dall’esterno o giochi di potere
- Per affrontare negoziati o accordi complessi
- In ogni scelta importante.
A presto!