Psicosomatica e Resistenze - 4 spunti integrativi | Real Way of Life

Psicosomatica e Resistenze – 4 spunti integrativi

stop!Alcuni pazienti guariscono in fretta, altri no. Talvolta succede che il professionista ha fatto e continua a fare del suo meglio, il paziente sembra realisticamente molto motivato a risolvere la situazione, eppure la situazione non evolve.

Di seguito vediamo alcune riflessioni di carattere generale sui meccanismi che possono essere alla base di queste “resistenze al cambiamento e,  successivamente, presentiamo 4 spunti pratici da cui partire.

“Sarà psicosomatico!”

Una volta il classico processo a cui venivano sottoposte queste situazioni era – grosso modo – il seguente: 1) una serie di analisi specialistiche sempre più approfondite per trovare il “cavillo” che causava il problema; 2) accanimento su uno o più di questi aspetti; 3) nessun miglioramento significativo; 4) una sorta di rinuncia da parte della medicina “ufficiale” con lo slogan “sarà psicosomatico”; 5) invio a un professionista della mente.

Human head on abstract colorful spotted background with different elementsQuesto tipo di approccio metteva ben in luce un paradosso: per curare un processo psicosomatico, ovvero di stretto rapporto tra mente e corpo, le scienze della mente e quelle del corpo erano totalmente divise. Anche nei relativi ambiti c’erano divisioni: una psoriasi poteva essere affrontata in modo diversissimo da un dermatologo piuttosto che da un uno specialista in reazioni allergiche; allo stesso modo uno psicologo ad orientamento psicodinamico avrebbe lavorato sull’inconscio mentre uno psicologo sistemico avrebbe lavorato sulle relazioni attuali. Tutti avevano ragione dal proprio punto di vista, ma tutti stavano perdendo una possibilità, soprattutto il paziente.

Oggi fortunatamente le discipline che si occupano di corpo e di mente si stanno riavvicinando e i diversi approcci teorici in ogni ambito accettano di non essere più “l’unico e il migliore, ma che hanno tutti qualcosa di buono e di utile, che conviene integrare e non dividere.

La forza dell’integrazione

Personalmente credo molto nel potere di questa integrazione tra le scienze. Sono convinto che ogni medico, psicologo, osteopata, educatore, logopedista, operatore di medicine complementari e ogni altro professionista che si occupa della salute possa lavorare in modo più soddisfacente per sé e per i proprio interlocutori se individua meccanismi di funzionamento della mente e del corpo (nella loro autonomia e nel loro stretto rapporto) che abbiano un senso comune per le diverse professioni, che costituiscano una sorta di linguaggio comune tra le discipline.

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Questo aumenta le possibilità di azione di ogni singolo professionista e lascia spazio a collaborazioni tra diversi specialisti in quegli ambiti dove ogni specifica formazione porta valore aggiunto. Ad esempio, entro i giusti limiti è utile che uno psicologo comprenda e possa agire (in modo circoscritto) su alcuni aspetti fisici di un dolore cervicale, così come un fisioterapista può aiutare a comprendere gli aspetti emotivi che la generano. Nel rispetto dei propri confini professionali, si può fare tanto e, anzi, dare un livello di comprensione e far percepire un primo sollievo che motiveranno il paziente a consultare anche il professionista specifico per un approfondimento in sinergia.

2 esempi pratici di integrazione professionale

A un primo livello d’azione si può fare molto: rimanendo nel nostro esempio lo psicologo può fornire riferimenti di autopercezione posturale e insegnare una tecnica di respirazione che facilita una corretta posizione della testa e delle spalle; d’altra parte il fisioterapista/osteopata/medico può chiarire i meccanismi di base che portano un’emozione a modificare la postura e invitare il paziente a trovare delle modalità diverse per gestire le proprie emozioni.

Ovviamente questi interventi da soli possono bastare solo in alcuni casi, ma sicuramente daranno un grado di comprensione maggiore e uno stato di benessere immediato nel breve periodo.

Copia di cervicaleIn molti altri casi in cui questo primo livello di integrazione non è sufficiente, sarà molto semplice agire in sinergia con altri professionisti che si potranno dedicare con i propri strumenti e conoscenze ad affrontare in modo adeguato tutte le componenti in gioco, gli aspetti traumatici, i fattori di complessità o di storicità.

Quando questa sinergia professionale avviene ho sempre potuto riscontrare un aumento della qualità del lavoro sia del singolo professionista che dell’intervento integrato. Per i pazienti aumentano anche i vantaggi immediati e la facilità di poter approfondire con un altro interlocutore altamente professionale un discorso già cominciato, che è ben diverso dal “provi a vedere cosa le dice uno psicologo/endocrinologo/osteopata/ecc.

4 Spunti integrativi 

Quali sono le basi di questo linguaggio comune?

Quali sono i concetti cardine che diversi professionisti possono conoscere per agire sull’unità corpo-mente?

Quali sono i meccanismi che facilitano o bloccano i processi di cambiamento in modo trasversale ai diversi ambiti?

Con Association for Integrative Sciences (ovvero l’Associazione per le Scienze Integrative, a cui abbiamo dato un nome in inglese perché operiamo a livello internazionale) ci dedichiamo da parecchio a questi temi, sia con ricerca diretta e applicazioni operative sia tramite review delle più recenti ricerche nelle diverse discipline. Abbiamo individuato alcuni temi che ricorrono spesso. Ve ne presento una sintesi di seguito.

1) La psicosomatica oggi è una scienza… ed è molto integrata

Copia di intestino bassa risoluzioneUn esempio pratico e ormai ben consolidato arriva dalle ricerche sulla cosiddetta sickness behavior (il tipico comportamento del malato). Questi studi evidenziano bene come la depressione, che una volta veniva letta solo in termini di biochimica mentale o di risposta psicologica, è in realtà un fenomeno complesso, che lega questi due aspetti tra di loro e anche al sistema immunitario e al livello di infiammazione sistemica.

Non solo, vengono ribaltate vecchie convinzioni, per cui oggi è noto che i livelli di serotonina non hanno un rapporto mono-direzionale di causa-effetto con l’umore, ma che ci sono diverse modalità, processi e attori in gioco. Per fare solo uno degli esempi più lampanti: la maggior parte della serotonina viene prodotto dall’intestino e la sua produzione è influenzata dallo stato di salute dell’intestino stesso legato sia all’alimentazione sia agli eccessi di stress.

Si tratta solo di un breve  e parziale esempio illustrativo, ma diventa subito evidente che chi si occupa dell’umore potrà fare molto se conosce questi fenomeni e alcune modalità di intervento di base che siano efficaci ma senza rischi, oppure inviando al giusto specialista ma fornendo una chiave di lettura unificante e che creerà continuità per il proprio paziente.

2) La motivazione al cambiamento non parte dalla logica

Se la motivazione partisse dalla logica… di sicuro genitori e capi al lavoro non dovrebbero ripetere mille volte i motivi per cui vale la pena di fare qualcosa rispettivamente ai propri figlio e dipendenti. Il problema è che l’adolescente o il dipendente demotivato si concentrano su “la pena” del discorso e non sul “vale”.

neuroscienze_cervelloNon è tanto la forza di volontà a fare la differenza, ma il piacere che la può sostenere. I centri del piacere nel nostro cervello che si attivano quando mangiamo qualcosa di buono o abbiamo esperienze fisiche gratificanti sono gli stessi che ci portano a fare volontariato o a cooperare. Spesso per le persone con scarsa motivazione al cambiamento o che presentano quei fenomeni noti come “resistenze al cambiamento” è particolarmente efficace agire sui meccanismi di questi centri.

La motivazione può sembrare irrazionale: consideriamo il fenomeno per cui tutte le persone dicono di non subire il fascino della pubblicità. Se fosse vero le aziende, che guardano al fatturato dopo ogni campagna pubblicitaria, avrebbero smesso di fare pubblicità. Nella relazione di cura i meccanismi sono sicuramente diversi da quelli di uno spot pubblicitario, ma i fattori motivanti di base delle persone sono gli stessi. È importante conoscerli e trovare il modo giusto per attivarli su aspetti costruttivi.

3) Fisiologia Vs Normalità

Spesso nella salute mentale e fisica si guarda alla normalità, cioè alla maggior parte della gente, eppure la maggior parte delle persone non è un buon parametro perché non vive in fisiologia: passiamo ore seduti in posizioni scomode, facciamo poca attività fisica, prestiamo tanta – forse troppa – attenzione alle norme sociali e a soluzioni di vita diffuse, ma non per questo soddisfacenti per noi.

Per comprendere a fondo come le alterazioni della fisiologia impattino sul nostro benessere fisico e mentale abbiamo sviluppato l’idea dei Bisogni Ancestrali, ovvero quei bisogni che sono alla base del nostro sviluppo individuale e sociale, che ci accomunano agli altri mammiferi e che fanno parte del nostro processo evolutivo. Non soddisfare i Bisogni Ancestrali porta noi, come ogni animale, a non evolvere e non adattarci più. Costituiscono la nostra spinta a vivere, ma se vengono mancare non ha più senso andare avanti. È il fenomeno noto come impotenza appresa, se il soddisfacimento di un bisogno di base non può avverarsi in modo ripetuto e costante ci blocchiamo e ci lasciamo andare su tutti gli aspetti vitali.

Avere chiari quali meccanismi ci aiuta a comprendere dove la persona si può essere “bloccata” e, a seconda della situazione e delle proprie altre competenze professionali, ad agire in un modo o in un altro per aiutare il ripristino di un funzionamento fisiologico.

4) Il potere delle relazioni

child_playing_with_parentsLe relazioni possono influenzare e interagire con tutti i punti precedenti, ma non solo. Nella relazione si misurano l’accettazione, il proprio essere speciali, l’influenza sugli altri e altri aspetti importanti per il nostro benessere psicofisico. I cuccioli di tutti i mammiferi imparano i propri limiti e risorse nel gioco di lotta con i loro pari. In questo modo l’aggressività viene sperimentata e dosata in modo funzionale alle diverse situazioni. A parte rare eccezioni, noi umani abbiamo annullato questo tipo di esperienze e creato alternative più socialmente accettabili ma meno efficaci. Abbiamo bisogno quindi di altre modalità esperienziali per poter sviluppare padronanza emotiva e relazionale. Non è un caso che ci siano così tanti problemi nei rapporti gerarchici: per gli animali l’autorevolezza è basata sui fatti, la leadership è riconosciuta dagli altri e prevede prima il sacrificio, poi eventuali benefici. La maggior parte delle persone cercano tendenzialmente l’opposto.

Ogni relazione di cura è caratterizzata da un gioco di potere, quanto ne siamo consapevoli e lo sappiamo gestire in modo costruttivo? Quanto ci favorisce o penalizza?



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