15 Apr 9 modi per risolvere conflitti e incomprensioni |Parte 1
Articolo a cura di Fabio Sinibaldi
Arriva un paziente o un cliente e ci racconta un evento problematico o una situazione che ritiene non funzionare come dovrebbe.
A questo punto è il nostro turno:
- Come leggiamo queste informazioni?
- Su quali livelli le analizziamo?
- In che direzione approfondiamo?
- Quali tipologie di intervento proponiamo?
Analizzare un caso su più livelli possibili
La realtà umana è complessa e sfaccettata.
Qualsiasi professionista con un po’ di esperienza sa bene che il suo interlocutore gli presenta il problema su un piano specifico (ad es. il proprio vissuto personale “sto troppo male”, oppure le dinamiche interpersonali “lui non mi capisce”, oppure quelle culturali “siamo in un mondo spietato”) ma in realtà ci sono sempre tutti questi e molti altri livelli che interagiscono alla base di questi processi.
In questo articolo condivido con voi un esempio di come lavoro nella mia pratica quotidiana, cercando di esplorare e agire ad ogni livello possibile.
Un caso molto comune
Partiamo da uno schema alla base di sofferenza personale a livello individuale e relazionale, presente in numerosi conflitti relazionali di coppia, incomprensioni, disfunzioni in famiglia o tra colleghi e capo-collaboratore e altri casi.
Terrò la descrizione più ampia possibile, proprio per sottolineare come sia importante non legarsi subito ai dettagli e alle specificità (che rischiano di diventare il focus primario di lavoro, distogliendo l’attenzione dal altri fattori rilevanti). Di contro, è utile leggere gli schemi e i meccanismi trasversali, di cui spesso la persona non si rende conto, ma che possono costituire il reale punto di partenza del problema.
La situazione portata come problema di partenza
Emerge una difficoltà comunicativa in una coppia (che può essere affettiva, sociale o lavorativa):
Il soggetto “A” dice una cosa, il soggetto “B” mostra una reazione non coerente o sproporzionata (almeno dal punto di vista di A).
Per dare forma a questo tipo di situazione potete riportare alla mente tutte le casistiche in cui sentite dire:
- “non mi capisce”
- “lui/lei mi odia”
- “dice una cosa e ne fa un’altra”
- “non lo/la sopporto più”
- “è un/una deficiente”
- “non riesco a lavorarci”
- “non abbiamo più niente in comune”
- E così via.
Cercherò di fare le riflessioni più ampie possibili, sia che il nostro ipotetico paziente/cliente sia A, B, oppure entrambi.
Possibili livelli di lettura e intervento, in ottica integrata e integrativa
Di seguito riporto una serie di esempi per illustrare il processo di lavoro e il tipo di ragionamento sottostante. Non ho la pretesa di essere estremamente puntuale o completo in ogni dettaglio. Chiedo venia ai più precisi per eventuali generalizzazioni o per l’utilizzo abbastanza ‘flessibile’ di alcuni termini.
Per riferimenti strutturati e citazioni bibliografiche potete rifarvi ad altri articolo sul blog o alle nostre pubblicazioni.
1. LIVELLO COMUNICATIVO
Analizzando il fenomeno al livello più immediato, quello dello scambio comunicativo in quanto tale, si tratta di un problema tra emittente e ricevente e del messaggio che si scambiano in un certo contesto… ma non è così banale come potrebbe sembrare!
In contesti in cui l’obiettivo sia formativo, di coaching, di intervento organizzato può essere utile soffermarsi sull’analisi testuale del messaggio, dell’ambiente, di tutti i possibili filtri o delle interferenze ambientali e culturali.
In contesti terapeutici o di consulenza di alto livello, questi aspetti tendono spesso ad essere sottovalutati, perché ritenuti “meno importanti” o “sicuramente già consapevoli al soggetto”. In realtà possono nascondere problematiche raffinate.
Per fare un esempio, la percezione dei suoni bassi e acuti, sentire voci monotone (nel senso letterale di ‘senza variazioni di intonazione’) e altri fattori paraverbali, infatti, risultano molto alterati sia nei disturbi dello spettro autistico (anche in forme leggere, spesso non diagnosticate) sia nei disturbi post-traumatici da stress (a proposito si possono vedere numerose ricerche, di cui Bessel Van der Kolk è il più noto esponente).
È facile trovarsi di fronte a manager ad alto funzionamento – per cui si tenderebbe a non dare peso ai semplici aspetti comunicativi – che reagiscono in modo estremamente negativo ad alcuni tipi di voci, indipendentemente dal contenuto della comunicazione. L’attenzione a queste chiavi di lettura, così come un training per dare un ritmo attivo e una variazione melodica al proprio pensiero e alla propria espressione verbale sono strumenti molto efficaci e con riscontri a cascata anche sui punti che vedremo di seguito.
2. GLI ERRORI COGNITIVI (ANCHE SU BASE NON COGNITIVA)
Dalla prospettiva di differenti approcci focalizzati sulle dinamiche mentali (dalla filosofia stoica, alla psicoterapia cognitiva per arrivare alla PNL, giusto per citare alcune delle più note) si possono individuare alcuni errori cognitivi/di processo, sia in A che in B (i due protagonisti dello scambio comunicativo problematico), che possono essere ritrovate sotto categorie come etichettamento, generalizzazione, pensiero dicotomico, ecc.
Qualunque sia il modello teorico di riferimento, possiamo ritrovare interessanti riferimenti alle reti neurali coinvolte in questi meccanismi. L’analisi di queste reti neurali porta in evidenza che si tratta di processi che possono essere gestiti direttamente (attraverso la modificazione del pensiero stesso) ma anche lavorando sulla fisiologia del processo neurale e dei meccanismi coinvolti, come ad esempio: la ricerca di indizi interpersonali e contestuali, la contestualizzazione attraverso i fattori ambientali, e altri fattori che possono favorire o inibire tutti i processi valutativi che sostengono un determinato pensiero.
Si tratta di riportare il pensiero al suo funzionamento naturale, recuperando le funzioni di esplorazione/sviluppo, adattamento e sicurezza in armonia, senza che si sbilancino a tutelare solo uno di questi aspetti.
Ci sono anche interessanti collegamenti con la neurobiologia sottostante a una determinata convinzione: ad esempio, si possono riscontrare livelli di glutammato cerebrale mediamente più alti in chi presenta scarsa metacognizione, schemi mentali rigidi e che non includono facilmente le nuove informazioni. Il glutammato è il più potente neuroecittatore, che produciamo in modo endogeno ma che possiamo assumere anche tramite i cibi confezionati e gli esaltatori di sapore. Conoscendo questi meccanismi, diventa possible introdurre utili indicazioni a livello nutrizionale o di abitudini di vita, in modo da creare dal basso le condizioni per un pensiero più flessibile e aperto al cambiamento.
3. LA PSICODINAMICA (E LE SUE BASI NEURALI)
La differenza tra la frase di A (per quelle che erano le sue intenzioni) e la percezione da parte di B, se valutata da un punto di vista psicodinamico, potrebbe essere letta come un fenomeno di trascinamento, proiezione o identificazione. Senza entrare nella complessità di tali concetti, da una prospettiva integrata e integrativa, è utile rileggerli e ampliarne la comprensione con le basi neurali di quella che è la coscienza incarnata (per citare uno tra tutti, Damasio), la percezione e l’immagine di sé (il sé sinaptico di LeDoux e le sue recenti evoluzioni), i confini interpersonali oggettivi e percepiti (M. Graziano), ecc.
Alla luce di queste prospettive, diventa utilissimo lavorare sul corpo, i movimenti lenti, le diverse forme di sensibilità sensoriale, le mappe corporee anche per agire su quelle che, almeno in partenza, potevano essere inquadrate come dinamiche squisitamente psicodinamiche.
4. EMOZIONI E PREVISIONI
Dalla prospettiva di ultima generazione sulle emozioni (Barrett Feldman, LeDoux, Pessoa, Benedetti, ecc.) l’incomprensione tra A e B può essere letta come un problema a livello di previsioni e aspettative.
Per chi non le conoscesse, in estrema sintesi, possiamo dire che ci sono un paio di meccanismi di rilievo da conoscere, perlomeno al fine di questo articolo:
- Esistono meccanismi rapidissimi e inconsapevoli di adattamento che attivano, senza passare dalla coscienza, risposte corporee che – in vario modo – contribuiscono significativamente al vissuto emotivo di cui siamo poi consapevoli;
- La nostra mente continua ad elaborare previsioni su quanto sta per succedere in noi e nel mondo esterno, al fine di ottimizzare i meccanismi di adattamento. Anche in questo caso ci sono previsioni chiare a livello razionale, ma la maggior parte sono sensoriali e motorie, senza passare da un’elaborazione cognitiva.
Questi processi di adattamento e le relative previsioni vanno gestite in modo mirato, considerando che c’è una significativa disparità in termini di forza e velocità di trasmissione tra le vie neurali che conducono le previsioni e quelle che portano i dati sensoriali (interni ed esterni). Detto in altro modo: le previsioni tendono a imporsi sui dati frutto di valutazioni attuali (dove siamo, come stiamo, che reali possibilità ci sono, ecc.), allo stesso modo in cui una macchina sportiva che viaggia su un’autostrada libera arriva prima a destinazione rispetto a una macchina meno potente che, per di più, deve viaggiare nel traffico cittadino.
Per questo motivo gli esercizi di integrazione mente-corpo, la valorizzazione di ogni esperienza sensoriale complessa, l’allenamento a discriminare ogni minima sensazione corporea e ogni variazione contestuale, possono essere tutti ottimi strumenti per rinforzare il processo di regolazione emotiva e di gestione delle interazioni interpersonali.
5. ANIMALI CHE GIOCANO A SCACCHI
Il comportamento sociale è uno degli aspetti che trovo più affascinante della complessità umana e di come prendono forma decisioni e comportamenti. Si tratta di meccanismi così variegati e complessi che è possibile inquadrarli e studiarli con grande interesse grazie a differenti discipline: psicologia, sociologia, etologia, neurobiologia affettiva e sociale, teorie dei sistemi, teoria dei giochi, e altri ancora.
Alla luce di queste prospettive lo scambio tra A e B può essere riconsiderato come una dinamica di sfida, di lotta per o conferma di un ruolo, accettazione, inclusione, ecc. Tutti questi meccanismi, a loro volta, interagiscono con vantaggi e motivazioni a livello del singolo, del gruppo-famiglia, del gruppo-sociale e del ‘branco’ di riferimento (che per tutti i mammiferi evoluti è un concetto e un sistema complesso che va ben oltre il gruppo di interazione). In quest’area, tra l’altro, è anche interessante rivalutare i meccanismi aggressivi come dinamica attiva di regolazione sociale e non solo come fattore disfunzionale o distruttivo a priori.
Per aiutare A e/o B è, quindi, importante inquadrare quali di questi meccanismi siano in gioco e attuare azioni mirate. La nota interessante è che questo piano è sempre attivo: anche la valutazione più semplice e auto-riferita, quando deve prendere forma, attiva e prende in considerazione i circuiti sociali e sistemici.
Tra l’altro sono tutti aspetti che hanno anche importanti risvolti neurobiologici (dagli ormoni come testosterone e ossitocina, fino all’ingaggio dei recettori affettivi ed esplorativi presenti in diverse aree della nostra pelle). Possiamo riscontrare disregolazioni in questi aspetti per vari motivi: abitudini, stili di vita, tipo di nutrizione, assunzione di farmaci.
Per fare un esempio pratico, se B legge il messaggio di A più pericoloso di quanto sia realmente, l’eccesso di ossitocina o di testosterone potrebbe amplificare notevolmente il senso di rischio e i relativi vissuti di angoscia. È interessante notare che questi livelli possono essere riportati in fisiologia con accorgimenti semplici, consigli legati all’attività fisica e alla nutrizione, modalità di recupero delle energie, ritmi circadiani ed esercizi specifici.
In questi primi 5 punti abbiamo visto alcuni spunti per analizzare da una prospettiva multi-livello un fenomeno apparentemente semplice e, di solito, gestito su un piano unico.
Nella seconda parte dell’articolo, a breve in arrivo, vedremo altri 4 livelli e faremo un po’ di considerazioni operative trasversali.
Buon lavoro integrativo!!
A presto!