03 Lug Emozioni: una rilettura scientifica aggiornata e implicazioni pratiche
Articolo a cura di Fabio Sinibaldi e Sara Achilli
Le emozioni sono un tema di grande interesse, di rilievo e discusso da anni in diverse discipline: dalla filosofia, all’educazione, dalla psicologia al marketing.
Personalmente le ho sempre considerate un tema molto affascinante per il loro ruolo centrale in diversi aspetti della nostra vita. Dagli affetti ai pericoli, fino al processo creativo, le emozioni sono sempre in gioco.
Ma che cosa sono esattamente e come funzionano le emozioni?
Nel 2020 quali modelli e teorie sono più validi ed efficaci?
Negli anni tante ipotesi sono state fatte, anche con prospettive opposte. Questo succede spesso quando un tema è complesso e si cercano chiavi di lettura eccessivamente semplici e con un nesso causa-effetto lineare.
Partiamo da una delle domande classiche della psicologia classica, che a sua volta riprendeva un dilemma già caro alle scuole di teatro dell’antica Grecia:
“Piangiamo perché siamo tristi o siamo tristi perché piangiamo?”
Ci sono stati grandi dibattiti su questo tema, ma oggi, grazie a un’interessante cambiamento di prospettiva e grazie alle tecniche sempre più raffinate di analisi delle neuroscienze affettive ed emotive, è possibile avere finalmente una risposta chiara. Anche le implicazioni sono rilevanti. Vediamo di approfondire nei prossimi paragrafi.
Un cambiamento di prospettiva per superare facili riduzionismi
Il cambio di prospettiva da fare riguarda molto il valore euristico di un modello (quanto è intuitivo e convincente da usare, che non necessariamente indica la sua efficacia reale), il linguaggio e la diffusione di informazioni, anche tra specialisti stessi del settore (in particolare sul tema delle emozioni si veda J. LeDoux 2000, 2015).
Per fare un esempio: quando si parla di emozioni spesso ci si rifà al modello di Paul Eckman, che ha avuto una grande diffusione per il fascino collegato alle possibilità di leggere le emozioni attraverso la loro espressione tramite il volto.
Ed ecco il primo rischio comunicativo ed euristico: uno studia il modello di Paul Eckman, lo trova utile ed interessante… e poi diventa facile fare il passaggio a dire e pensare che “ci sono 5 emozioni fondamentali indipendenti”. La frase termina qui. C’è un problema rilevante in questa sintesi, cioè che stiamo tralasciando il pezzo “…rispetto all’espressione tramite il volto”.
Di contro, le neuroscienze affettive e del comportamento, ma anche l’etologia comparata, hanno dimostrato da tempo che il passaggio da un’emozione all’altra è fluido e modulabile, che ci sono meccanismi e processi che si integrano e influenzano a vicenda.
Quindi le 5 emozioni non sono indipendenti, ma correlate nei loro processi e nelle loro manifestazioni.
Questioni di Network ed Esperienza
Oggi è possibile ragionare individuando i diversi network che contribuiscono a generare e sostenere un’emozione (L. Pessoa 2017):
- percezione,
- attenzione,
- salienza,
- motivazione,
- interocezione,
- auto-regolazione,
- diversi network sociali
- e così via.
C’è una dinamica fluida tra questi elementi, che hanno diversi livelli di potere d’azione e gerarchie di influenzamento.
Inoltre, ognuno di essi, è influenzato da differenti altri processi a cui è collegato.
In questo modo è possibile comprende tutti i fattori in gioco e intervenire in modo mirato attraverso:
- il corpo,
- il pensiero,
- gli obiettivi,
- la nutrizione,
- il movimento,
- i filtri percettivi e sensoriali,
- le previsioni su di sé, sul contesto e sugli altri,
- e ogni altro elemento rilevante.
Ci sono poi fattori che influenzano più fattori: un cambiamento epigenetico (come i geni si esprimono) può modificare sia la risposta di adattamento primaria, sia il ricordo di eventi, sia il senso di padronanza e di risorse che abbiamo a disposizione per fronteggiare la sfida che stiamo affrontando in quel momento (B. McEwen 2015).
Il termine “sfida” è utile a mettere in luce il fatto che uno stesso evento può avere valore negativo o positivo, di fatica ma anche di evoluzione. L’epigenetica, infatti, cambia attraverso le esperienze con una finalità evolutiva. Questo significa che il modo in cui viene gestito un evento stressante ma anche un conflitto interpersonale, può fare la differenza nello sviluppare modalità evolutive fisiologiche o che si possono ripercuotere sugli equilibri fisici e mentali.
Questa prospettiva mette in grande risalto l’importanza di pianificare e realizzare nuove esperienze trasformative per attuare un cambiamento significativo e duraturo rispetto alle risposte emotive.
Un cervello, tre cervelli… e anche oltre
Un altro modello di grande successo è quello dei tre cervelli di P. McLean. Si tratta di un’ottima rappresentazione, di immediata e comprensione, quindi facilmente condivisibile, delle dinamiche in gioco tra risposte di sopravvivenza (che McLean identifica come cervello rettiliano), emozioni (nel cervello mammifero) ed pensiero logico (identificato con la neocorteccia).
Tuttavia bisogna ricordarsi che è un modello assolutamente innovativo per gli anni ’70 in cui è nato, ma che al contempo, può essere arricchito e sviluppato grazie alle più recenti scoperte.
Ad esempio, un aspetto molto rilevante riguarda la dinamica tra pensiero logico ed emozioni. Dire, secondo lo schema del cervello trino, che la neo-corteccia ha funzione inibitoria rispetto agli impulsi emotivi è oggi riduttivo.
È ormai stato ampiamente dimostrato che la PFC (corteccia prefrontale) dialoga in modo sinergico con l’amigdala nella costruzione e modulazione delle emozioni. Non si tratta di un tira-e-molla, piuttosto di una collaborazione che può essere sostenuta a livello di plasticità neurale (tramite alimentazione, attività fisica e attività cognitiva) sia tramite attività integrative tra più funzioni diverse.
Non solo, la corteccia prefrontale ha ampie connessioni con con le cortecce motorie e sensoriali, svolgendo un ruolo centrale nel modulare sia le risposte adattative primarie non consapevoli (contrariamente all’idea che la PFC agisse solo a livello razionale e controllato) sia le emozioni vere e proprie.
Per fare un altro esempio: ipotalamo, talamo e insula, vengono oggi definiti “hub” integrativi con un ruolo centrale nella regolazione delle emozioni. In questa prospettiva diventa interessante usare il modello dei 3 cervelli come punto di partenza per un approccio pratico e fondato sulle neuroscienze delle emozioni, per poi entrare in una prospettiva più approfondita di network e hub in grado di offrire numerosi spunti pratici e operativi per migliorarne la fisiologia e l’integrazione attraverso attività di diverso tipo.
Adattamento e/o Emozioni?
Un altro aspetto importante da riconsiderare riguarda l’idea diffusa che
“le emozioni fanno parte del nostro sistema di adattamento”.
Questa affermazione è vera, ma può essere definita meglio. Noi abbiamo un sistema di adattamento in grado di reagire, principalmente in modo automatico e non consapevole a una serie di pericoli comuni ad ogni essere vivente, anche i più semplici: predazione, mancanza di nutrienti, disidratazione, squilibri energetici, ecc. (J. LeDoux, 2015).
Questo primario sistema di adattamento gestisce molti comportamenti, come ad esempio la fuga, che di solito noi consideriamo una risposta emotiva. In realtà quando inizia la fuga l’emozione non ha ancora preso
forma.
L’emozione si costruisce integrando la risposta di adattamento primario con esperienze, aspettative, interazione con il pensiero logico, comportamenti appresi e ormai diventati automatici, risposte del sistema nervoso autonomo e livelli ormonali.
Le recenti modalità di indagine e progetti raffinati di ricerca sono riusciti ad isolare tutte queste componenti, in modo da dimostrare la solidità di questo modello che, quindi, non è una semplice astrazione ipotetica, ma rappresenta proprio i diversi processi messi in atto durante le risposte a stimoli stressanti, traumatici, ma anche imprese, sfide o giochi.
A titolo di esempio diversi ricercatori sono riusciti ad inibire il comportamento di evitamento ma mantenendo alto il livello di ansia, viceversa a modulare il senso di paura pur mantenendo le risposte comportamentali o fisiologiche ad alti livelli.
Queste ricerche hanno importantissime ricadute pratiche, mettendo in luce tutti i livelli su cui è possibile e necessario agire per regolare le emozioni a livello pratico.
Ad esempio è possibile distinguere in modo raffinato tra:
- innesco della risposta di adattamento;
- fattori di amplificazione o inibizione, interferenze, schemi appresi;
- ruolo della memoria episodica, procedurale, abitudini e pattern di risposta;
- biofeedback mirati su specifici schemi motori e muscoli innescati nelle diverse risposte adattative e – in un secondo momento – ingaggiati dall’emergere dell’emozione;
- aspetti di segnalazione sociale e di apprendimento proprio e altrui (che è parte innata del valore evolutivo delle emozioni per l’adattamento e lo sviluppo della specie);
- comportamenti esplorativi, curiosità e creatività come forme di adattamento;
- ecc.