18 Mar Meno foto e video con il cellulare: te lo chiede il cervello di tuo figlio
Al giorno d’oggi è abbastanza normale vedere tutte le persone del pubblico di un evento sportivo o di un concerto con i cellulari alzati per fare fotografie o video. Questo fenomeno è curioso di per sé, dal momento che riduce l’esperienza di essere dal vivo a guardare il tutto tramite un monitor, mette più accento sul bisogno di testimoniare che su quello di vivere in prima persona, porta l’attenzione sul lato social e la riduce su quello emotivo, ecc. ma non è di questo che ci vogliamo occupare oggi.
Un aspetto importante da prendere in considerazione è che questa tendenza a immortalare un evento con il proprio telefonino non succede solo ai grandi concerti o eventi sportivi, ma avviene anche alla partita di calcio, al saggio di danza o di chitarra di bambini piccoli. C’è una profonda differenza tra Bruce Springsteen e nostro figlio: il primo ha una solida autostima e una buona regolazione delle emozioni, il secondo le sta costruendo. Non solo, per Bruce Springsteen siamo una delle tante persone del pubblico, per nostro figlio siamo un (o meglio “il”) punto di riferimento.
Che cosa succede
Perché un bambino cerca lo sguardo della mamma in situazioni stressanti? Vediamo di capire dal punto di vista scientifico che cosa succede in quei momenti. I bambini che stanno facendo un saggio di danza, una partita di calcio importante, suonando uno dei primi pezzi con la chitarra davanti a un pubblico faranno tutti la stessa cosa: a un certo punto cercheranno con gli occhi la faccia di mamma o papà (o di un’altra importante figura di riferimento presente). Alla regia di questo comportamento c’è una piccola parte del nostro cervello che abbiamo in comune con tutti i mammiferi: si chiama amigdala (si tratta di due aree gemelle in realtà, una per emisfero) e rappresenta la centralina di molti aspetti tra cui le reazioni emotive e le relazioni interpersonali di base (fiducia, sicurezza, attaccamento, ecc.).
Quando un bambino si trova le prime volte in situazioni di stress emotivo è normale, o meglio ancora possiamo dire “fisiologico”, che il suo sistema di sicurezza lo porti a cercare il volto del genitore. Prima ancora di qualsiasi fattore di riconoscimento affettivo o amore filiale, l’amigdala in modo diretto e senza passare dalla coscienza valuta il volto e in pochi millisecondi risponde rassicurandoci nel caso in cui incontriamo uno sguardo amichevole e amorevole, creando ulteriore tensione in caso negativo o in assenza di risposta. Questo non vuol dire che la memoria, il pensiero logico, il sentimento di affetto costruito nel tempo non abbiano un ruolo rassicurante, l’amigdala interagisce anche con queste aree, ma si tratta di processi che si innescano con tempi di reazione più lunghi e devono contrastare la reazione molto forte e primaria scaturita dalla prima valutazione immediata.
È come se l’amigdala volesse rispondere a domande emotive profonde come: ho bisogno di te, ci sei? Sei orgoglioso di me? Non so se ce la faccio, tu cosa dici? Ci spiega Sara Achilli, responsabile del Master Bambini Speciali di Real Way of Life.
L’effetto smartphone
Genitori che fanno filmati e foto con il cellulare o il tablet tutto il tempo non lasciano vedere il loro volto ai bambini. La posizione del dispositivo digitale si frappone tra lo sguardo del bambino e il loro volto, coprendolo tutto o in parte.
Vedere il volto delle persone amate equivale a dare una risposta alle domande a cui l’amigdala cerca risposta. Questo ha un effetto immediato, a seconda dei riscontri, calmante o ansiogeno e, nel lungo periodo, posa le basi di autostima, sicurezza, immagine di sé, ecc.
Qualcuno potrebbe obiettare che un telefono non copre tutto il volto, ma bisogna sapere che ci sono diversi sottogruppi specifici di neuroni delle amigdale che si occupano del volto intero e altri che si occupano delle sotto-aree del volto: basta che solo quelli che si occupano nello specifico di stabilire un contatto visivo e “leggere lo sguardo” non facciano il loro lavoro per avere risposte emotive e relazionali inadeguate.
Per completezza di informazione è importante considerare anche come la postura venga alterata dal tenere in mano il telefono o tablet. Quindi anche un altro importante aspetto della comunicazione non verbale per avere informazioni da un altra persona non fornisce indicazioni utili in questa situazione. La postura rassicurante a livello percettivo ancestrale prevede, tra gli altri aspetti: petto aperto, spalle rilassate, braccia e mani extra-ruotati, tutti elementi che non possono essere mostrati nell’atto di alzare un telefono per fotografare.
Gli effetti
Il fatto che il primo processo di valutazione che effettua l’amigdala sia per via rapida e inconscia significa che successivamente sarà anche più difficile cambiare i ricordi memorizzati in questo modo con le parole e con il pensiero logico.
Non trovare risposta a queste richieste emotive e relazionali primari agisce, come abbiamo visto, nel breve e nel lungo periodo, ma non solo. Non trovare la risposta che si cerca a un riflesso primario porta senso di frustrazione impotenza, questo crea rabbia verso chi è alla base di queste limitazioni, quindi creando rancore verso i genitori e rinforzando l’idea di non poter contare su di loro
In casi estremi in cui i bambini vivono solo esperienze di scarso contatto con il volto delle figure di cura nei primi tre anni di vita, non sviluppano del tutto la capacità di leggere i segnali non verbali altrui.
Allargare la prospettiva e considerazioni pratiche
Ovviamente questo articolo non vuole essere un invito a non fare più fotografie. Gli estremismi sono sempre privi di senso e ci fanno rinunciare anche ai lati positivi, come quelli di poter guardare una fotografia a giorni di distanza o di condividere un video con il genitore che non è potuto essere presente per validi motivi. La fotografia può essere un grande strumento di oggettività per guardarsi da un punto di vista diverso, ma anche colludere con richieste narcisistiche, può essere una dimostrazione di interesse o un trofeo “social” da esibire, e così via. Insomma sappiamo bene che il tema è ampio e può essere usato in modo costruttivo (tanto che usiamo le fotografie e i video tra gli strumenti dei nostri corsi) o meno. Lo scopo di questo articolo è di sensibilizzare ai possibili effetti di un certo modo di usare le fotografie e di considerarne l’uso in situazioni molto stressanti e con bambini che non hanno ancora consolidato certe abilità emotive o sicurezze interne.
Proprio in quest’ottica desideriamo porre l’attenzione sugli aspetti quantitativi e qualitativi di questo tipo di fenomeni.
Spesso non ci facciamo caso ma una situazione simile a quella descritta per le foto al saggio di danza si manifesta quando il bambino ci parla e noi guardiamo la televisione, il computer o rispondiamo a un sms senza guardarlo in faccia. Viceversa il bambino che guarda un cartone animato, che è costruito per essere una calamita per la sua attenzione, non ci guarda mentre parliamo e non trova un riscontro tra la nostra voce e il nostro non verbale.
Dal punto di vista quantitativo è quindi importante avere consapevolezza di quanto spesso diamo questo tipo di messaggi e ridurne le occorrenze.
Prestando invece attenzione alla qualità della relazione possiamo domandarci se quello è un giorno speciali per quel bambino. È una delle sue prime partite o gioca da 10 anni? Quanto si è preparato per quella partita? Cosa c’è in gioco? Solo la vittoria il suo valore personale? La voglia di distinguersi dal fratello o di assomigliare al papà?
Allargando ulteriormente le prospettive consideriamo che siamo partiti dal caso delle fotografie ai bambini, ma il discorso non è molto diverso per un ragazzo che si laurea (che cercherà il volto di un genitore, della fidanzata o dell’amico fidato) o per un adulto al suo primo public speaking importante (che cercherà nel pubblico amici o colleghi con cui ha un rapporto di fiducia).
Un altro aspetto importante spesso sottovalutato riguarda che cosa vedrà nostro figlio quando cercherà il nostro volto: magari ci siamo trattenuti dal fare fotografie, ma il volto è preoccupato perché pensiamo al lavoro da fare appena usciti di lì o alla scadenza di una tassa da pagare? In questo caso ricordiamoci che il bambino non conosce ancora il mondo del lavoro e della burocrazia, ma di sicuro penserà che quell’espressione del volto riguarda lui. Oggi molte discipline ci invitano ad “essere presenti” a “stare nel qui e ora“, credo che questo punto rappresenti proprio un’ottima applicazione pratica di questi discipline.
A volte le soluzioni più efficaci sono le più semplici: un’indicazione pratica per salvare il contatto visivo ma avere delle foto-ricordo è quella di trattenersi dal fare fotografie all’inizio di una performance, quando la tensione è più alta e la concentrazione minore. Superato questo momento, in cui più probabilmente il bambino cercherà supporto nel nostro volto, potremo dedicarci alle fotografie, tenendoci pronti a togliere di mezzo il cellulare se percepiamo un momento di tensione o difficoltà crescente.